di Stefano Eugenio Bona
Esiste una letteratura che integra e sorpassa interi stormi di saggistica di pur squisita fattura, parliamo della critica letteraria tesa nella continua ricerca dell’analogia. Nella biografia su Goethe, Pietro Citati traccia inevitabilmente anche alcuni punti, in cui il romanzo si connette col pensiero massonico e può esser riportato ad un orizzonte totalmente iniziatico. Le grandi monografie su Proust, Leopardi, Kafka, Tolstoj (senza dimenticare gli approfondimenti sul problema del 'Male Assoluto' in Dostoevskij) e appunto Goethe, donano ricchissimi spunti d'analisi e approfondimento su ciò che realmente attraversa l'autore e l'uomo, con una perizia dall'affresco vivificante e di sicuro fascino. Le trattazioni di Citati non sono una rassegna culturologica, ma puntano al disvelamento di ciò che in petto rivela poieticamente il mondo creativo dell'autore. Data l'immensa mole trattata, ossia il macro e micromondo Goethe in un intreccio continuo, ci occuperemo brevemente di qualche brandello utile ad una riflessione iniziatica, sollecitata dal lavoro di Citati tra le pieghe del Wilhelm Meisters Lehrjahre («Gli anni dell'Apprendistato» di Wilhelm Meister) e del «Faust».
Molto si è dibattutto sul Bildungsroman come messaggio financo massonico d'edificazione dell'individuo. Tra il peregrinare di una Storia sempre in bilico: si delinea una possibilità di società ideale, tra le righe, o è la necessità che guida i destini degli apprendisti-uomini nel sentiero della propria unicità, della propria esistenza individuale? Oltre la notoria appartenenza massonica di Goethe, ai fini di una penetrazione nei recessi dell'opera del sommo poeta e scrittore tedesco, è utile ricordare l'esistenza e la struttura della Società segreta della Torre. Essa compare nei Lehrjahre ed è una chiave di volta per comprendere il destino e lo svolgimento delle vicende del protagonista «Wilhelm Meister».
Questo non è in realtà un semplice Bildungsroman, ma un lascito impressionante di considerazioni sulla crescita e l'educazione in senso iniziatico. Goethe ha riposto con fiducia il comando dell'azione in questi confratelli, che mediante trame segrete dirigono la vita degli apprendisti. Citati nota argutamente come nella Torre non sia in vigore un singolo sistema educativo; la pedagogia dei messaggeri della Torre educa Wilhelm a non aver troppa confidenza nei segni del compimento del Fato, anche se sanno bene l'altezza a cui può giungere la sua natura. L'abate invece, che potrebbe essere lo stesso Goethe nello svolgimento del romanzo, ammonisce i messaggeri, poiché crede nel Fato e, come fosse un maestro compiuto, sa che ogni dogma può imprigionare il dispiegarsi lieve del nostro spirito. Spinge affinché Wilhelm trovi il compimento, non suggerisce, e resta nell'ombra attendendo il superamento delle prove della vita, poste in un percorso che solo il soggetto può superare.
Il Maestro è Goethe stesso, nell'indicare una via educativa fondata sulla benigna propensione ad accettare il destino e a compiersi nella fedeltà alla propria forma. Goethe si frange in tutti i processi iniziatici della Società, ma molti critici hanno deprecato con asprezza il concetto stesso di 'Torre': all'interno vigerebbe un processo illuminativo progressivo, mentre l'Ordine non si curerebbe del mondo, lasciando i non prescelti ai propri stenti. In questo leggiamo anche una critica alla Massoneria, da parte di chi la considera un centro di potere egoistico. Ebbene, la questione crediamo sia in questi termini: ovvero metafora sul contrasto tra un volenteroso processo educativo nell'accettazione del Tutto e l'amor fati dell'uomo rinnovato; poi certamente l'indifferenza a ciò che non è iniziabile, non è un modus vivendi 'iniziatico'. Al di là di questo giuoco di parole dalla Torre si confluisce all'esterno, e non si ristagna in inoperanti contemplazioni. Iniziazione è intervento nel Sé e poi nel Mondo. La Società della Torre non prepara in modo dissimile dalla vera Massoneria, il centro irradiante ha come azione esterna la propagazione della carità; anche se è pur vero che in Goethe la società segreta è percepita in modo più distante, come adagiata in una cima e non nel Mondo.
Nel «Faust» l'iniziazione si compie proprio a cospetto delle terribili e temibili Madri, nel Regno del Silenzio, nell'Origine prima della formazione di ogni forma e di ogni creatura, nell'informe. In una lettera ad Eckermann del 10 gennaio 1830 rivela la fonte e la modalità d'utilizzazione del soggetto: «Non le posso rivelare nulla di più, tranne che ho trovato in Plutarco, che nell’antichità greca erano menzionate le Madri come divinità. Questo è tutto quello che devo alla tradizione, il resto è la mia propria invenzione». Nelle viscere della Terra discende il protagonista: Faust impugna una chiave donata da Mefistofele, che permette l'accesso.
La chiave sentirà per te il luogo che tu cerchi,
Lasciati guidare da lei; ti condurrà presso le Madri.
Faust (rabbrividendo):
Le Madri! Ciò sempre mi percuote come una scarica!
Dopo l'impronunciabile nome delle Madri, egli può splendere alla Luce... Evidente il motivo del V.I.T.R.I.O.L. nella ricerca sotterranea auspicata da Mefistofele: non alla luce del giorno, non sulla superficie visibile della manifestazione bisogna cercare, ma nelle caverne, nei crepacci. I poeti greci accennano alla visione trasformante che l'iniziato ai Misteri riceveva, ovvero il contatto diretto con le tre Madri universali: Rhea, Demetra e Proserpina. Faust deve infatti passare ad un altro stato di coscienza, a quello che dietro al mondo sensibile percepisce il tessere e l’operare, il fluttuare e il divenire che mai riposa e da cui emana il mondo dell'apparenza. Le Madri sono i tre volti della forza che sta dietro a tutto ciò. Paracelso, Bohme, Basilio Valentino, l'Aurea catena Homeri e l'Opus mago-cabbalisticum et theosophicum di Georg von Welling: questi i riferimenti del Faust e tra le letture predilette da Goethe medesimo. Citati coglie un altro importantissimo e sommo nesso :
«La stessa discesa alle Madri è un metafora all'Opus magnum. Gli alchimisti chiamavano 'madre' quella prima materia, quella sostanza originaria, che avrebbero nobilitato fino ad estrarne la pietra filosofale: così come Faust, col soccorso della magia dei saggi, discende fino alle Madri per averne in cambio il 'tesoro' di Elena...».
Fermandoci a questi brevi cenni, che sono uno strettissimo spiraglio nel percorso esoterico e nel genio di Goethe, ci soffermeremo su un’immagine dipinta più che scritta, all’interno del «Viaggio in Italia». Quando lagrimando saluta Roma Eterna. Per l'ultima volta. Partì il 23 aprile del 1788 e per luì fu tutto un turbinio di melanconia, gli venne alla mente Ovidio, il grande esiliato che “aveva dovuto lasciare Roma in una notte di plenilunio” . Al punto da chiudere il resoconto dell’aprile 1788 con questi quattro distici:
Cum subit illius tristissima noctis imago,
Quae mihi supremum tempus in Urbe fuit;
Cum repeto noctem, qua tot mihi cara reliqui;
Labitur ex oculis nunc quoque gutta meis.
Iamque quiescebant voces hominumque canumque;
Lunaque nocturnos alta regebat equos.
Hanc ego suspiciens, et ab hac Capitolia cernens,
Quae nostro frustra iuncta fuere Lari.
«Quando risorge in me la tristissima immagine di quella notte
che fu l’ultima ora a me concessa in Roma,
quando rivivo la notte in cui lasciai tante cose care,
qualche lacrima ancora mi scorre dagli occhi.
E già le voci degli uomini e dei cani tacevano:
e la luna alta nel cielo reggeva i cavalli notturni.
Io la guardavo lassù, e poi guardavo i templi capitolini,
che inutilmente furono vicini al nostro Lare».
Il classico che stringe a sé il luogo ove, per sue stesse parole, “rinacque una seconda volta”. Un saluto che è un abbraccio nel nulla del nichilismo forse, oppure un anello tra le tenebre. Ciò che si parla ancora vicendevolmente, nel mezzo della 'malattia romantica' e della spinta faustiana allo sfruttamento planetario. Goethe sfidò la natura a tornare sé stessa, in lui tornò Legge il riso originario, franco e classico. In lui il comandamento era questo fluire, auscultare ed inspirare i segni divini in elementi. Il ritorno era già comando e azione. Resta un dato di fatto: nel «Wilhelm Meister» (specialmente nell'ultimo) la totalità incombe sul singolo, mentre nel «Faust» il respiro panico non può che assorbire le individualità in un vortice, esso stesso liberatorio. Goethe per tutta la vita dispone nel «Faust» il fluire dei contrasti, mediante un gioco eracliteo tra gli estremi, ridotti a velame estetico del sovrasensibile, ipostatizzati nel fluire degli eventi. Lo strumento di composizione dei contrasti, per Magris è lo 'stile' stesso, così se la perfezione artistica fa congiungere il formale con l'abisso della ricerca, nel Faust si compie una coincidentia oppositorum. Per questo, eminentemente per questo è l'ultimo uomo universale apparso sulla faccia della Terra.
Dopo la lezione di Goethe, alcuni sentono l'urgenza di spezzare i tormenti dei romantici (i quali contrapponevano al «Wilhelm Meister» l'«Enrico Ofterdingen» di Novalis...), nel segno di quel che si permetteva d'auspicare Thomas Carlyle, ovvero: «Close thy Byron, Open thy Goethe».