di Aurora Distefano
«Vi troverai (nel Tempio) solo quello che porti con te”, diceva un Maestro sulla soglia dell’abisso in cui l’Apprendista cercando il nemico ha trovato se stesso (cfr. Guerre Stellari); e questo è l’assioma da considerare, parlando e accingendosi a costruire, poiché talvolta la nostra conoscenza ci potrebbe far innalzare mura che dividono, quando piuttosto è nostra intenzione creare un Temenos, un recinto sacro che accoglie e costituisce lo spazio in cui, d’ora innanzi, si Opera. Con ciò l’estrema chiarezza del lavoro orizzontale, del cordiglio che in varia Tradizione si trova a cingere i lombi dell’iniziato, sia pur esso in forma di grembiule. Primo passo è dunque tracciare uno spazio in cui muoversi, e per l’assunto iniziale, tale spazio lo tracciamo con la nostra mente, per poi (deposto il Compasso sotto la Squadra), inquadrarlo: inquadrarla (la mente) e delimitarla. Sì, perché se la forma esiste prima di prendere forma, essa va conosciuta prima di poterla 'attuare' (parlare), indi (apparentemente) il primo strumento a muoversi con perizia sarà la Squadra, ed anch’essa, valutata in prospettiva mediante l’approccio ai vari simboli, potrà portare dal piano orizzontale a quello verticale, mantenendo retto l’uomo.
Eppure, persistente e preesistente (ma non sempre ravvisato), esiste un filo che si traccia tra i cieli e la terra, che congiunge una linea centrale, che si potrà identificare internamente come colonna vertebrale: sushumna, su cui si eleva Kundalini; o, esternamente, come la linea tra M.V. e Copritore, l’asse gestito dal MdC, la buddhi (secondo il Vedanta), il pilastro centrale, la via di Mezzo. In ogni caso, è il filo a piombo, che allinea la costruzione, prima interiore e poi esteriore, manifestando la tendenza al bene, che promulghiamo come Lavoro per il ben-essere dell’umanità.
Tale filo è diventato, nell’immaginario, il cuore della bacchetta magica dei vari Harry Potter, che manifesta il cuore del “mago” e ne trasmette la sua attività nella creazione (Abrakadabra pare originare da un anagramma di barah, creare, e daber, parlare, riassumibile in “parlando, creo”). Il “silenzio” diventa pertanto ancor più essenziale, perché il pensiero possa originare una certa forma, e si capisce come le allegorie alla ricezione della piena luce possano e vadano riscritte e rivissute in diverse occasioni rituali. Dopotutto, in termini cabalistici, il peso semantico (575) di Vaiomer Elohim Yehi Ohr (e Dio disse: sia la luce), è lo stesso di Yetzer-ha-rà (tendenza al male), e di dieci (assarah).
Tale equivalenza di peso esiste fra la linea centrale (Qav Haemtzai =322), e la tendenza al bene (Yetzer Ha Tov) di cui si diceva, e su cui si potrà speculare abbondantemente riferendo le due tendenze ai gradi successivi a quello di Apprendista. Gli stessi in cui si inizierà a scorgere il cerchio sopra il quadrato (o quadrilungo), mentre emergerà la pace fra i vari elementi.
Si conoscano dunque prima le regole; ma poi la predominanza del lato destro, amorevole (che compare nella Creazione assieme all’uomo) sarà essenziale al Massone, che intenderemo come “Giusto”. Poiché “il giusto è fondamento del mondo” (“Tzadiq Yesod Olam”, Prov.10,25), chi si voglia porre a servizio dell’umanità, deve ricordare, prima di innalzare templi, di scavare in profondità per costruire delle fondamenta solide. E se esse, semanticamente, sono cuore e cervello (Yesod/fondamento=Lev+Moach/cuore e cervello), il mondo-OLAM (interiore) nasconde sapienza e intelligenza (‘Hockmah ve Binah) che si esplicitano nel sole e luna (Chamah ve Levanah), con i quali si scandisce il tempo del Lavoro. Concludendo questa riflessione sui primi elementi per “costruire”, non si può che arrivare all’anima, pur se nel suo livello inferiore (il 5°, Nefesh, equivalente a “Tzadiq Yesod Olam”, è la prima stanza da esplorare), che innanzitutto dovrà essere riconosciuta come una casa dell’amore (Beit Haahvah, di pari peso semantico); o meglio si dovrà intendere tutto ciò come la costruzione di un recipiente (con cui si torna al Temenos, e volendo si intuisce il Graal) entro cui operare (Athanor), sempre e coscientemente per la trasmutazione (la prima materia si estende, si eleva, sale), per la manifestazione dell’identità fra ciò che è in alto e ciò che è in basso, anche quando tutto appare ancora informe e vuoto (tohu ve Bohu).
E se, seguendo parallelamente i canti della Divina Commedia, già dall’inizio dantescamente ci leghiamo un cordiglio, per poterlo poi sciogliere ed inabissarci nella conoscenza di sé, vedremo presto che proprio quello stesso filo resta teso come una scala, di tre, cinque o più scalini, che ci consentirà prima o poi di aprire le finestre (cfr. Quadro di Loggia) e rischiarare gli altri strumenti che occorrono a chi conserva l’amore (Notzer Chesed=412), per realizzare il Tempio (Beit=412), da cui inizia la Creazione (Bet, di Bereshit).
Solo un lungo lavoro di preparazione, sgrossando e squadrando, permetterà di accedere a ciò che si trova oltre il velo, al sancta sanctorum che rivela la pietra, quella che si ottiene in un attimo, pur se il lavoro può essere lunghissimo; la stessa che “scartata dai costruttori, è diventa testata d’angolo”.