venerdì 13 febbraio 2015

Ars gratia artis. Nell'ombra

di Davide Riboli

Chi non ha mai provato a dar vita alla testa di un cane o al volo di un'aquila, giocando con le mani di fronte a una luce puntata contro il muro?

Shadow art è la definizione corrente per tutte quelle creazioni che, prevedendo le teorie che la materia lavorata imporrà alla luce, si compongono di sola ombra.

Ad esempio, l'artista greco che ha scelto l'emblematico nome d'arte di Teodosio Sectio Aurea è capace di mostrarci come la leonardesca perfezione dell'Uomo Vitruviano si possa celare in un caotico accrocchio di steli e palline che ricorda un po' i modelli molecolari.



Ed è sempre l'Uomo, con un bicchiere in mano e lo sguardo al cielo, che si cela e si rivela nel cumulo di immondizia illuminato da Tim Noble e Sue Webster.



Ma una menzione tutta particolare è dovuta all'artista pachistana Anila Quayyum Agha che nella sua ultima installazione Intersections ha usato un cubo di legno di quasi due metri di lato, intagliato al laser, per creare uno straordinario gioco di luci e ombre sulle pareti del sala d'esposizione.



Guardando le immagini di Intersections non posso fare a meno di ripensare alle 'matematiche severe' che Lautremont celebra nei suoi Canti di Maldoror.


«O matematiche severe, non vi ho dimenticate da quando le vostre sapienti lezioni, più dolci del miele, filtrarono dentro il mio cuore come un’onda rinfrescante. Istintivamente aspiravo, fin dalla culla, a bere alla vostra fonte, più antica del sole, e ancora continuo a calcare il vestibolo sacro del vostro tempio solenne, io, il più fedele tra i vostri iniziati. C’era del vago nella mia mente, un non so che, spesso come il fumo; ma io seppi valicare religiosamente i gradini che portano al vostro altare, e voi avete dissipato questo velo oscuro, come il vento scaccia la procellaria».