mercoledì 4 giugno 2008

René Guénon, il mistico che smascherava i ciarlatani



Nel 1943, André Gide è a Fez. Se n'è andato in Marocco «a cercare il sole».

Va ancora a caccia di ragazzini, ma si purifica abbeverandosi ai trattati di mistica.

Un giorno, un amico gli fa leggere i libri di René Guénon, un esoterista francese che dal 1930 vive in Egitto e si è convertito all'islam.

E l'autore dell' "Immoralista" annota sul suo Journal: «Che sarebbe avvenuto di me, se li avessi conosciuti ai tempi della mia giovinezza, quando mi immergevo nel metodo per arrivare alla vita beata.

Ma a quei tempi i libri di Guénon non erano stati ancora stampati ed ora è troppo tardi».

Troppo tardi per che cosa? Evidentemente per dare alla propria vita una svolta.

Accogliendo il magistero non di un guru da baraccone, che dispensa pillole di saggezza, ma di un maestro che ti sfida a compiere l'arduo cammino della conoscenza e della realizzazione spirituale.

La scrittura, per Guénon, deve essere «obiettiva», «impersonale»: e proprio perché si ragiona di cosmologia, metafisica e dintorni, bisogna sgombrare il campo dalle luminose patacche che nulla hanno a che fare con l'oro filosofale.

Che cosa resta? L'essenziale.

E la sua prosa è davvero essenziale: al punto che qualcuno l'ha definita «matematica» o addirittura «cartesiana»: e un mistico che fa pensare a Cartesio è davvero troppo per chi si trastulla negli effetti

speciali, stile new age.

Una verifica immediata ce la fornisce questa raccolta di scritti apparsi su varie riviste in un arco temporale che va dal 1909 al 1950 ( "Il demiurgo e altri saggi", Adelphi, pp. 313, euro 14 ).

Lo studioso affronta i temi più vari, dal millenario quesito sull'origine del male (argomento del suo primo lavoro, pubblicato a ventitré anni sulla rivista "La Gnose"), al fondamento sacro delle arti e dei mestieri, agli errori delle ideologie moderne e profane, alle mistificazioni pseudoreligiose (nel mirino, la setta dei Mormoni).

Il metodo di lavoro? Puntualità nei riscontri dottrinari, serrate argomentazioni logiche, nitore dialettico.

In modo che anche nozioni impervie come l'essere e il non-essere, il manifestato e il non- manifestato, lo spirito e l'intelletto, il Principio e il Verbo siano di solare evidenza.

Questa volontà di far chiarezza in una materia dove la complessità può generare oscurità e fraintendimento è un tratto tipico di Guénon sin dalla giovinezza.

Se è vero, infatti, che il nostro è da subito affascinato dagli studi esoterici, è altrettanto vero che è ben cosciente di muoversi su un terreno minato, tra sette teosofiche, chiese gnostiche, gruppi spiritualisti, cenacoli spiritisti, ordini martinisti, obbedienze massoniche.

Insomma uno spazio tutt'altro che sacro, dove presunzione, contraffazione e cialtroneria imperano.

E lui, forte di esperienze dirette, smaschera i sedicenti guru proprio sulla Gnose.

Attenzione agli alchimisti dell'imbroglio, dice, esortando a cimentarsi con i testi sapienziali.

Quanto alla Massoneria, da ex-affiliato a numerose logge, non nega che la libera muratoria sia un'organizzazione iniziatica, le cui origini, anteriori al Cristianesimo, si collegano alla edificazione salomonica del tempio di Gerusalemme, ai misteri pitagorici e ai collegi artigiani dell'antica Roma.

Aggiunge, però, che a partire dal XVIII secolo, l'Ordine ha avuto una deviazione in senso razionalista, laico e progressista.

Dunque è «senza radici», come peraltro buona parte della Chiesa.

Guénon, acuto studioso del sufismo islamico e delle dottrine orientali, è convinto che commetta un grave errore chi, appellandosi all'unità trascendentale delle religioni, fa a pezzi la propria tradizione particolare.

Proprio essa ci identifica, evitando e contrastando i mali del mondo moderno: tutte le smanie di eguaglianza e di livellamento; il tentativo di ridurre la religione a un vago umanitarismo filantropico e moraleggiante, privo di ogni tensione metafisica.

di MARIO BERNARDI GUARDI da LIBERO venerdì 5 ottobre 2007