di Vincenzo Liguori
Melchisedec è sicuramente una figura di cui si potrebbe parlare praticamente all’infinito essendo tantissime le versioni e le interpretazioni che aleggiano su di essa.
I nostri dubbi iniziano già quando affrontiamo il problema dell’origine del nome.
Potrebbe significare e tradurre con “Il mio Re è Giustizia” secondo Genesi 14,18. Oppure “Re di Giustizia” che deriverebbe dal sanscrito “dharmaraja”.
Secondo altre teorie potrebbe significare “Il Re sarà giusto” oppure “Re giusto”, in questo caso avrebbe qualcosa in comune con la Cabalà quasi Melchisedec fosse un “Demiurgo” che aiuta a cercare gli angoli più reconditi della propria Anima o anche una sorta di sorvegliante della soglia.
Il suo nome è presente nell’Antico Testamento in Genesi 14,17,20 e nel Salmo 110 e, nel Nuovo Testamento, nella lettera agli Ebrei nei capitoli 5,6,10 in 6,20 e nel 7.
Di Lui parla anche Dante Alighieri nell’VIII Canto del Paradiso definendolo “il religioso” per antonomasia.
La sua figura è poi presente nella Cripta della Cattedrale di Anagni insieme a quella di Abramo. La scena testimonia la sottomissione di Abramo allorquando Melchisedec spezza il pane e versa il vino benedicendolo. Inoltre, su di una placca in rame smaltato che si conserva al Louvre di Parigi, Abramo riceve, dalle mani protette da guanti di Melchisedec, una grande Ostia bianca con impressa una Croce.
Nel
De Civitate Dei Sant’Agostino asserisce che la benedizione di Melchisedec ad Abramo conferisce ad esso una sorta di promessa di una discendenza spirituale. «Una discendenza innumerevole non come i granelli di sabbia ma come le stelle del cielo. Parole con cui a me sembra piuttosto che sia promessa una posterità sublime a causa della felicità celeste».
Esiste, quindi, uno stretto legame tra Melchisedec ed il grande mistero dell’Eucarestia. Ulteriore prova di quanto affermato è nella Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma.
Nel mosaico egli è rappresentato mentre viene incontro ad Abramo offrendogli pane e vino.
In alto è presente una terza figura che, secondo alcuni è Cristo. A me piace pensare che sia, invece, l’Altissimo.
Si chiuderebbe cosi il cerchio in una continuità Dio-Melchisedec-Abramo.
Probabilmente Melchisedec non era Ebreo.
“Il suo nome appare nella Bibbia nell’Antico Testamento, Genesi 14,18 nei seguenti versi: 17 Quando Abram fu di ritorno, dopo la sconfitta di Chedorlaomer e dei re che erano con lui, il re di Sodoma gli uscì incontro nella Valle di Save, cioè dei Re. 18 Intanto Melchisedec, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo 19 e benedisse Abramo con queste parole: “Sia benedetto Abramo dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, 20 e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici”.
Nel Nuovo Testamento si dice che Gesù nell’ultima cena “spezza il pane e versa il vino alla maniera di Melchisedec”; e nel Salmo 4: “Il Signore ha giurato e non si pentirà: Tu sei Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec”.
Gesù non è, quindi una reincarnazione di Melchisedec ma il Supremo lo ha inviato fra di noi per aiutarci a discernere ciò che è buono da ciò che è cattivo.
Citiamo Ebrei: 7,1-4 “Questo Melchisedec infatti, Re di Salem, sacerdote del Dio Altissimo, andò incontro ad Abramo mentre ritornava dalla sconfitta del re e lo benedisse; a lui Abramo diede il decimo di ogni cosa.
Essendo senza padre e senza madre, senza genealogia, non avendo né principio di giorni né fine di vita, ma essendo stato reso simile al Figlio di Dio egli rimane sacerdote in perpetuo”.
Chi è, quindi, questa figura tanto importante a cui Abramo attribuisce il privilegio del riconoscimento delle decime e che, addirittura, benedice Abramo stesso? Leggiamo in Ebrei 7: «Ora, senza alcuna disputa, il minore è benedetto dal maggiore».
Ci troviamo, sicuramente, di fronte a qualcuno di rilievo visto che anche San Paolo, per innalzare la figura di Gesù, fa riferimenti alla sua persona.
Egli è Re di Salem, quindi Re di pace. Non vi è traccia delle sue origini e tutto è avvolto nel mistero.
Melchisedec era allo stesso tempo Re e Sacerdote eterno, come il Signore Gesù Cristo, per questo è scritto: “ma fatto simile al figlio di Dio, egli rimane sacerdote in eterno (Eb. 7:3).
A differenza di Gesù di lui non si conosce una genia. Non si ha notizia di una madre o di un padre. Egli appare in maniera repentina senza che si parli dei genitori. Tuttavia, in un manoscritto ritrovato in Etiopia, si attribuisce la maternità a Sopanima, donna ormai avanti negli anni e sterile e sposata con Nir figlio di Matusalemme e fratello di Noè. Si legge: «Sopanima è ormai vecchia, e pur avvicinandosi il giorno della sua morte, concepisce un bimbo nel suo utero. Nir, il sacerdote, non si è unito a lei da quando il Signore lo ha designato sacerdote davanti al popolo. Sopanima, accortasi della gravidanza, si vergogna, si sente umiliata. E fino al termine della gravidanza si nasconde». Essa, umiliata ed impaurita muore al cospetto del marito. Nir ed il fratello Noè scavano la fossa che accoglierà il cadavere ma al momento in cui vanno a prelevare la salma si accorgono di una stranezza: «Allora da solo nasce il bambino della morta Sopanima. Ha il corpo sviluppato come uno di tre anni. Parla già e benedice il Signore. Il Sigillo sacerdotale appare sul suo petto. La sua apparenza è gloriosa! Viene chiamato Melchisedec, il Re vero».
Una notte a Nir appare il Signore che gli dice ”Nir, non posso sopportare oltre le grandi iniquità che state commettendo sulla terra. Perciò giungerà sulla terra la grande distruzione. Ogni vivente perirà. Non affliggerti, tuttavia per il bambino, egli non morirà insieme a quelli di questa generazione che saranno distrutti, ma diverrà il Grande Sacerdote Santo. Farò di Lui, Melchisedec, il Re giusto, il più grande di tutti”.
Cosa strana, però, il suo nome scompare o diventa molto raro nella storia futura della Chiesa, un po’ come accaduto con la Maddalena. Eppure egli è un personaggio straordinario, citato nella Bibbia, ma che poi non viene adorato, non viene fatto conoscere, non viene spiegato, si appalesa però come simbolo del “Sempre Veniente”.
Anche San Paolo quando parla di Gesù dice che è venuto come il Re Sacerdote Melchisedec e si comprende da questa affermazione che Melchisedec era come Gesù, era un altro Gesù, venuto migliaia di anni prima.
Come per gli indiani Krishna.
Nel manoscritto 11 Q 13/11 rinvenuto nella grotta 11 di Qumran, viene rivelato che dopo Melchisedec ci saranno altri dodici grandi sacerdoti che verranno al mondo sempre per opera di Dio ed in assenza di figura paterna.
Questo concepimento divino fa capo al fenomeno conosciuto come “Shekinà”, termine aramaico che può essere interpretato come “viene, penetra, trasforma”.
È in questo continuo e ciclico nel tempo manifestarsi sulla terra di esseri superiori, emanazione del Divino, che si realizza l’ordine sacerdotale di Melchisedec.
Con Melchisedec, quindi, ha inizio una linea Sacerdotale che si estrinsecherà con la stirpe di Davide.
I Re-Sacerdoti, per divenire tali erano soggetti ad una consacrazione mediante unzione: Salmo 45,8 «Dio, il tuo Dio ti ha consacrato con olio di letizia».
L’unzione, quindi, con olio benedetto può significare ergere la persona scelta ad un livello divino per decisione presa dall’Altissimo. Il prescelto sarebbe, quindi, un designato ed inviato da Dio sulla terra ed egli rappresenterebbe una energia trasmessa dal Cielo per realizzare la Sua volontà rappresentandolo fra gli uomini.
Il Re ed il Sacerdote sono “investiti” dall’anima del Grande architetto.
Nel portale di Rosslyn, Melchisedec ha in mano un Calice.
Nella cattedrale di Chartres, Melchisedec è raffigurato con sul petto, sostenuto dalla mano sinistra, un calice che rappresenta il sacro Graal, la discendenza divina, la discendenza dei Re Sacerdoti.
Infatti, la figura di Melchisedec è presente, insieme ad altri dieci personaggi ad ornare l’entrata centrale della porta nord della Cattedrale di Chartres. La statua è insieme a quelle di Abramo, Mosè, Samuele, Davide, Isaia, Geremia, il vecchio Simeone, Giovanni Battista.
La sequenza inizia con la statua di Melchisedec che benedice Abramo e finisce con Pietro. Abbiamo già sottolineato come Paolo definisca Gesù “Sommo Sacerdote alla maniera di Melchisedec” infatti sia Melchisedec che Pietro hanno le mani sul Calice della Santa Cena.
Lo studioso Emile Màle, in merito al succedersi delle undici statue scrive: «Il misterioso Calice che appare all’inizio della storia nelle mani di Melchisedec, si ritrova in quelle di Pietro. In tal modo il ciclo si chiude. Ciascuno di questi personaggi è, quindi, una specie di Christophoro (portatore di Cristo) che si trasmettono di generazione in generazione il Segno misterioso».
Cosa rappresenta, quindi, il misterioso Calice?
Sappiamo che il Graal è stato descritto in molteplici modi.
Può essere una coppa, semplicemente una pietra, oppure una pietra in un calice. Prima di Cristo si identificava con un piatto o anche con un calderone.
A Chartres Melchisedec ha in mano una coppa all’interno della quale c’è una pietra. Pietra Filosofale o la Manna? Oppure una gemma di grande valore?
Ci piace interpretare tale scena come una sorta di passaggio di un qualcosa di prezioso, altamente simbolico e immensamente misterioso in una sorta di 'staffetta' dinastica che si è verificata nei secoli nei successori del Sacerdote Melchisedec.
Sappiamo che, con l’avvento di Gesù Cristo, la successione dinastica di Melchisedec proseguì con il suo evolversi sempre con una discendenza maschile, mediante i Re Pescatori (Re Sacerdoti).
Approdiamo, quindi nella linea del Sangreal di Davide da alcuni chiamata 'famiglia del Graal'. Ma questo è uno spunto per altri approfondimenti!
Nel libro di Daniele al capitolo 7: 1-28, il profeta dice di aver visto, ancorché in sogno, una maestosa figura il cui “vestimento era bianco proprio come la neve, e i capelli della sua testa erano come lana pura”, che egli definisce come l’Antico dei Giorni.
Nel testo letterale è scritto: “l’antico dei giorni si sedette”.
Verrebbe da pensare che abbia visto Dio, ma sappiamo bene che così non potrebbe mai essere.
“Nessun uomo ha mai visto Dio”, dice infatti la Bibbia (Giovanni 1:18) - “Dio ha un aspetto così glorioso che nessuna creatura di carne e ossa potrebbe vederlo e continuare a vivere” (Esodo 33:20).
Andando avanti nel racconto un aiuto a comprendere chi esso sia, oltre il contesto, lo fornisce l’azione del sedersi, egli infatti si siede per amministrare giustizia.
Viene quindi spontaneo il pensare che esso sia non altro che Melchisedec, sacerdote in eterno e da sempre, in cui sin dal suo nascere nella notte dei tempi si incarna l’essenza della giustizia e della pace.
È stata già sottolineata l’impossibilità di vedere Dio.
L’Altissimo misterioso si manifesta e si appalesa, quindi, con le fattezze di un essere umano che possa risultare “capibile e riconoscibile” ai limitati sensi dell’uomo.
Melchisedec, perciò’, rappresenta quella che, nel Vecchio Testamento, è una TEOFANIA, cioè una manifestazione visibile dello Spirito invisibile di Dio.
L’Onnipotente, non potendosi svelare in modo diretto e tangibile, sceglie una rivelazione della Sua natura misteriosa, spesso incomprensibile all’uomo, creando una Teofania rappresentata, in questo caso, dal Sommo Sacerdote Melchisedec.
Egli è dunque il giudice massimo delle azioni dell’uomo.
Melchisedec non è altro se non il manifestarsi del divino, una delle sue manifestazioni nel tempo, non ha padre, non ha madre, ma la sua discendenza è una discendenza sacra e pura.